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Unico è il destino, e strettissimo il rapporto to che non è segno di purificazione, ma im-
tra discepolo e Maestro, perché la missione mersione nella morte di Cristo!) ha iniziato
del capo è la stessa missione del corpo. Ciò a morire, a spogliarsi dell’uomo vecchio con
che ci accomuna a Cristo è infatti il come: le sue azioni per rivestire l’uomo nuovo (cf
nell’obbedienza al Padre, nell’accettazione Col 3, 5. 9. 10) . Egli deve soltanto lasciare
fino alla fine della propria croce, nell’amo- che Dio disponga il come della sua seque-
re per il mondo, nella sollecitudine e nella la dietro a Gesù: può darsi che questa gli
solidarietà per i fratelli. Gesù ci precede e chieda un martirio vero e proprio, può darsi
ci apre la strada per questo nuovo esodo - più comunemente - che gli chieda di vivere
verso il Padre: in comunione con Lui è pos-
sibile prendere e portare anche la propria
croce. Nel racconto del martirio di Perpetua
e Felicita, quest’ultima giustifica la capaci-
tà di sopportare la passione confessando:
«Quando soffrirò, ci sarà in me un altro che
soffrirà per me perché anch’io soffrirò per
lui» (§ 15, 6).
La nostra fede ci dice che quando soffriamo,
Gesù patisce con noi; quando moriamo, lui
muore con noi. Egli ha già fatto tutto, ma il
rapporto radicale fra il Figlio dell’Uomo e il
suo popolo fa sì che ogni credente partecipi
alla sua passione. Ora che tutto è compiuto,
nessuno può rimanere semplice spettatore;
piuttosto, ciascuno dovrà farsi coinvolgere e
trascinare nel passaggio pasquale di morte-
resurrezione.
Il cristiano lo sa: dal battesimo (questo even-
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